Memoria mobile

La valigia di cartone è stata per anni l’oggetto che ha rappresentato, nell’immaginario collettivo, il migrante dei primi del Novecento. Il contenitore essenziale in cui si riponevano stretti i vestiti, le lettere dei propri cari, le foto di famiglia, i ricordi, le ambizioni, i sogni di un futuro in una dimensione nuova e sconosciuta. Oggi a quella valigia si sostituisce un cellulare, o meglio uno smartphone​. Cambia la forma, ma i contenuti sono rimasti gli stessi. In quel piccolo strumento, fatto di plastica stampata e componenti elettronici, si può conservare il proprio mondo. Perché chi è costretto a lasciare il proprio Paese – oggi  come allora, quando i migranti eravamo noi – ha la necessità di proteggere la propria identità, di non perdersi, di ancorare la memoria, di sublimare e trasportare l’essenza di quella realtà che si sta lasciando alle spalle. Nell’epoca della riproducibilità tutto questo si può fare scattando semplicemente una foto con il telefono, con la possibilità di condividerla anche a chilometri e chilometri di distanza.

Memoria mobile, in cui il termine “mobile” indica sia lo spostamento spazio temporale sia il dispositivo cellulare, ci svela il contenuto del bagaglio digitale dei migranti ospitati all’interno dello Sprar di Poseidone, uno dei centri della Capitale in cui si aiutano i richiedenti asilo a integrarsi e fare i primi passi nel nostro Paese.

Tutti i ragazzi del centro  hanno un telefono con il quale ascoltano la musica, comunicano con i propri cari, con cui custodiscono il passato e prendono appunti per il futuro. La maggior parte di quelle foto sono le stesse che abbiamo tutti nella nostra memoria. Ci sono le foto dei familiari, quelli che si lasciano e quelli che si intende raggiungere. Ci sono gli scatti al cibo, ai piatti tradizionali, quelli che profumano di casa e di una giornata di festa. Le immagini di icone occidentali, dal calciatore in azione alle scarpe di moda, dai selfie agli screenshot dei profili facebook, perché i social arrivano dovunque, o quasi. Ci sono i rendering di città in cui si sogna di tornare prima o poi, quando sarà finita e dopo aver lavorato abbastanza per vivere sereni. E ci sono anche scene drammatiche, quelle da cui si è fuggiti.

I giovani protagonisti di questo lavoro di indagine sono una trentina, altrettanti i cellulari, le foto molte di più. Nelle immagini ci sono i comuni denominatori e quegli elementi che ci ricordano le differenze, minime, tra chi scappa e chi accoglie.

Memoria mobile è un progetto che nasce dalla collaborazione conFlavia Funari (insegnante di italiano per stranieri presso i centri di accoglienza SPRAR). Il lavoro completo è composto da 63 immagini.

Testo a cura di Roberta Sernicola.